Perché è giusto che i medici siano tutelati (fonte: L’Espresso)

Perché è giusto che i medici siano tutelati (fonte: L’Espresso)

Il sistema Usa vive sotto il ricatto degli studi legali e delle cause intentate dai pazienti insoddisfatti. Ma è un meccanismo che alla fine va a discapito prorio dei malati. E in Italia non va copiato.

C’è un disegno di legge di grande importanza che in questi giorni, dopo essere stato approvato dalla Camera dei Deputati, è in discussione al Senato. Un testo che – tra altre cose – pone limiti alle cause contro i medici. A molti potrà far storcere la bocca, ma si tratta di un provvedimento sacrosanto. Per spiegare perché, ricorrerò alla mia esperienza negli Usa dove ho avuto modo di imbattermi nel sistema sanitario (e parlo del migliore), ricavandone un’impressione spaventosa. E le cause contro i medici sono una delle ragioni all’origine del giudizio.
Fare causa al chirurgo che ti ha operato o al medico che ti ha prescritto un farmaco è diventato una sorta di sport nazionale in America, uno sport dietro al quale c’è una grande business in mano a studi legali spregiudicati. Questi bombardano il paziente fin dagli atrii degli ospedali, o con martellante pubblicità in tv, radio, social network, invitandolo a fare causa al proprio dottore o al proprio ospedale nel caso una cura non sia andata come previsto.
Non importa che il medico abbia fatto tutto ciò che era possibile: ci sarà sempre un perito pronto a dare una “seconda opinione” in grado di far nascere un ragionevole dubbio. Il medico o l’ospedale, pertanto, rischieranno di dover pagare cifre enormi, il paziente potrà fare una piccola fortuna, che comunque è una frazione di quella che spetterà allo studio legale il quale, di solito, prende il 60-70 per cento dell’eventuale risarcimento. Così molti medici cercano di evitare il rischio di operazioni che, per motivi del tutto naturali (per esempio, aderenze post-operatorie) potrebbero facilmente prestarsi a cause milionarie.
Un esempio. Mi hanno fatto vedere dati ancora in elaborazione sul tasso di mortalità del tumore alle ovaie negli Stati Uniti: negli ultimi anni sono in forte crescita, perché i medici cercano di evitare di asportare le ovaie alle donne temendo di essere chiamati in causa per aver impedito loro di avere figli. Lo stesso vale per altri tipi di tumori e malattie critiche. Una follia che prescinde dalla bravura del medico o dall’eccellenza delle strutture di cura. Una follia che, oltre a paralizzare un sistema impedendogli di fare ciò che è giusto, comporta anche costi spaventosi. Ogni ospedale, clinica e medico deve infatti premunirsi dalla prospettiva di essere rovinato, per cui sottoscrive costosissime polizze assicurative, che finiranno per gravare sui costi del paziente.
Qualche esempio. Un ginecologo mio amico, di grande livello (ma non certo il migliore) ha pagato un’assicurazione di 750.000 dollari nel 2014. Un parto cesareo in un noto ospedale di Boston è costato alla moglie di un mio conoscente 50.000 dollari, il banale lavaggio di un “port-a-cath” 1.470 dollari (è il dispositivo che consente di fare chemioterapia senza danneggiare le vene; il lavaggio è gratis in ospedale in Italia, la Regione Lazio rimborsa all’ospedale 6 euro); un solo ciclo di chemioterapia oscilla tra i 30.000 e i 60.000 dollari. Per un intervento al cuore con inserimento di un by-pass la cifra minima è di mezzo milione di dollari in un ospedale minore.A peggiorare le cose, un sistema sanitario fondato su coperture assicurative private determina pressioni e stress sui medici che si ripercuotono sul paziente. Le assicurazioni, infatti, dettano tempi e rimborsi per ogni degenza, superando i quali può nascere un contenzioso tra ospedale e assicurazione (che si rifiuta di pagare quanto dovuto). Ne consegue che le strutture di cura impongano ai loro chirurghi di fare quante più operazioni possibili in un giorno, magari riducendo a due ore il tempo di un intervento che ne richiederebbe il doppio o il triplo. Stesso discorso per i tempi di degenza: in entrambe i casi, più i tempi si riducono, più l’ospedale è produttivo, più ci guadagna.
Per queste ragioni ho trovato un sistema del genere molto simile a un incubo, peraltro incapace di assistermi tempestivamente nel momento in cui avevo bisogno per il timore degli specialisti di una causa dietro l’angolo. E per questo auspico che il disegno di legge approdato al Senato sia approvato senza stravolgimenti (la lobby degli avvocati è potente…), ponendo fine a una tendenza che si sta sviluppando anche nel nostro Paese.
Riflettiamo su alcuni aspetti. In Italia, un medico specializzando di 32 anni che partecipa a interventi chirurgici ed è essenziale al funzionamento di un ospedale guadagna 1.600 euro al mese (un suo equivalente statunitense non prende meno di 130.000 dollari l’anno). Non è coperto da assicurazione, che deve pagarsi da solo e, appena finita la specializzazione, ha poche prospettive di trovare un lavoro. Non molto migliore, in proporzione, è la condizione economica e operativa di straordinari medici più anziani che continuano a rappresentare eccellenze capaci di salvare vite senza alcun costo per il cittadino. Quale incentivo avrebbero in futuro a mettere in gioco la loro vita di fronte al rischio di pesantissime cause? La sanità pubblica andrebbe incontro a una paralisi, e solo allora, forse, tutti si renderebbero conto del valore di un sistema che, pur tra tanti difetti, consente a tutti di essere curati (in molti casi gratis) con risultati che, confrontati con quelli di altri grandi Paesi avanzati, rimangono di assoluto valore.
 
Leonardo Maugeri – 
 
 
 
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