L’“autodimissione” dei medici dagli ospedali

L’“autodimissione” dei medici dagli ospedali

06 APR – Gentile Direttore,
in questo momento di crisi politica nazionale sulla stampa fatica, ma alla fine emerge, un nuovo aspetto della carriera del medico ospedaliero: l’abbandono anzitempo, il cambio di una vita scelta e costruita con tanta dedizione.
Il termine “autodimissione” in ospedale si riferisce al paziente che rifiuta il ricovero, firma e se ne va, reso edotto dei rischi che derivano dalla sua decisione. Non l’avevo ancora riferita ai medici, che anche loro resi edotti delle attuali condizioni di lavoro, firmano e se ne vanno.
Il mio ruolo istituzionale mi rende oggetto più di altri delle confessioni dei miei colleghi, in particolare di quelli più avanti con l’età, quelli che sarebbero già in pensione senza la riforma Fornero, quella classe di medici che in passato tra i 57 ed i 60-61 anni facevano i 40 anni di servizio e chiudevano una vita di notti e reperibilità, di domeniche e ferragosti in ospedali in cui deserto e ressa invariabilmente si alternano davanti agli occhi del medico di guardia.

Come in un film scorrono anni di caos al Pronto Soccorso, ricoveri impossibili in medicine saturate, occupazione militare con appoggi di quieti reparti specialistici, “code” in sala operatoria dirette dalla coppia collaudata formata da anestesista ed infermiere dell’anestesia, le attese del sangue per iniziare gli interventi e poi il “Fermi tutti, c’è un cesareo!“ Ulteriore ritardo nella gerarchia delle urgenze già in fila. Le assicuro che in ospedale esistono da sempre sensibili differenze fra specialisti come carico di lavoro , lo affermano con precisione le ore straordinarie pagate e mai recuperate , neanche quelle fatte tra mezzanotte e le 6 di mattina: la coronarografia e lo stent delle 3 di notte, la gastroscopia dell’emorragico di turno, “serve una TAC”…

Perché dopo alle 8.00 si ricomincia come se niente fosse, perché il riposo non è previsto, il tuo nome è già scritto sull’ordine di servizio del giorno dopo e non si può restare a casa a dormire, sarebbe diserzione, dovrebbero saltare ambulatori con visite fissate da tempo e sale operatorie in elezione con pazienti entrati apposta per essere operati.

Si ma fino a quando si regge questa vita, fino a quando le personali motivazioni etiche e morali ti fanno reggere il ritmo? La tua coscienza, il senso del dovere? E quanto valgono di fronte al fatto che nessuno di quelli che dovrebbero ti apprezza per quello che fai ma anzi ti sfrutta senza remore, ti ridicolizza con lo stipendio bloccato da 10 anni, con la reperibilità notturna e festiva pagata 1 euro netto all’ora?
Le prove tecniche di contratto di questi mesi saranno destituite del loro fondamento primario, che resta la tutela delle condizioni di lavoro, se le dotazioni organiche non saranno adeguate al recupero immediato dello straordinario notturno dal lavoratore impegnato, medico o infermiere che sia.
In fondo, siamo anche noi degli esseri umani come tutti gli altri, ma c’è chi continua a dimenticarlo, a non affrontare il problema, perché lo considera irrisolvibile, perchè non ci sono i soldi per tutti.

E’ un genio chi ha proposto nel prossimo contratto un medico di guardia ogni cento.
(100!) letti. Vorrei conoscerlo, “gli devo parlare, devo spiegarli di una vita che ho vissuto come medico di guardia e che non ho capito“, (parafrasando Vasco ), vita che faccio – tuttora – dal 1985 .
Il medico che bada ai gravi del suo reparto ed ai ricoveri in appoggio agli estremi opposti del suo ospedale.
Magari alla fine ci capiamo, magari…
E tu caro collega ricordati che il giudice non ti assolverà se nella fretta ti dimenticherai qualcosa, e quando verrà il tuo turno, una radiosa mattina, per essere esaminato in tribunale su quello che hai fatto o non hai fatto quella notte, la tua coscienza ritornerà sempre su quel paziente su cui forse potevi fare meglio con piu’ tempo per riflettere e mentre tu pensavi il telefono continuava a squillare.
Già il tempo, il tempo di comunicazione è tempo di cura, ma al medico serve il tempo per seguire il filo logico delle cose che deve fare in contemporanea su più situazioni, mentre arriva un’altra urgenza.
Quanti sono i colleghi in ospedale che vivono così ? Non tutti ma molti, con capacità di assorbimento e velocità di reazione differenziati, con un comune denominatore: sono stati affascinati da una vita intensa, ma a che prezzo.
“Ridateci i medici che sanno fare le diagnosi” , questa era la richiesta di un giornalista in un recente articolo
Ma per fare la diagnosi prima bisogna avere tanto studiato i testi e gli appunti giusti, poi devi mediarli con l’esperienza di bravi maestri, devi mantenere la mente aggiornata e un ritmo di lavoro costante ma anche accettabile per tue energie che diminuiscono, inesorabilmente anno dopo anno. L’esperienza sarà di aiuto finché il fisico regge , perché fare il medico ospedaliero “ non è un mestiere per vecchi “.
E’ un lavoro che stressa contemporaneamente mente e corpo, come pochi in assoluto, ma si continua ad ignorare volutamente questo passaggio anche se adeguatamente studiato, fare il medico per lo stato non è un lavoro usurante.
Chi percepisce l’inizio del declino fisico, esce di scen , chi giorno dopo giorno non riesce più a smaltire lo stress anche, chi ha delle condizioni di lavoro accettabili non si schiera a difesa dei colleghi più impegnati e si ritira nel suo bozzolo accuratamente costruito.
Ed i giovani? I rari fortunati neoassunti guardano la vita dei più anziani e molti addirittura cominciano a domandarsi se ne vale veramente la pena, se, forse, hanno sbagliato posto.
Una visione pessimistica, ma reale, dieci anni fa non avrei scritto questo articolo, ma vi assicuro che l’età non c’entra.
In bocca al lupo a tutti quelli che comunque restano nel giro, un saluto e tanta comprensione a tutti quelli che se ne vanno.
E, per chi resta, non aspettatevi che altri cambino il vostro stato, dovrete farlo da voi.

Dott. Giovanni Leoni
Il Segretario CIMO Regione Veneto

 
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